1.5 La letteratura

Ad Atene, la popolazione sapeva leggere e scrivere e far di conto. L’istruzione, se si esclude l’addestramento militare, non era compito dello Stato, bensì attività privata, e fino alla metà del V secolo, l’insegnamento diffuso si arrestava al livello elementare. Le abilitazioni specialistiche erano acquisite in casa o mediante apprendistato. Esisteva poi un addestramento professionale per l’equitazione, l’atletica e la lotta. Ma in letteratura e in filosofia, anche durante la generazione di Pericle e Sofocle, ognuno imparava attraverso l’insegnamento individuale e non sistematico di uomini più anziani e coetanei, oppure ingegnandosi da soli. Poi vennero uomini noti come “sofisti” che viaggiavano per i centri principali offrendo, in cambio di alti onorari, l’istruzione nel campo della retorica, della filosofia e dell’arte di governo. L’istruzione superiore era perciò fondata essenzialmente sul rapporto tra allievo e maestro. I libri consistevano in rotoli di papiro scritti su più colonne, di lettura non agevole perché mancavano i segni di interpunzione, i titoli e capoversi erano erratici, le parole non erano di solito separate tra loro. Le copie di uno stesso libro dovevano essere scritte a mano e perciò i libri circolanti erano ben pochi. Nel tardo V secolo si ha notizia di vendita di libri, ma il loro commercio era ovviamente molto modesto. Per tutte queste ragioni, i Greci preferivano parlare e ascoltare. Anche la loro architettura era quella di un popolo che amava conversare: basta ricordare gli enormi teatri all’aperto e le sedi delle assemblee, ma anche la più caratteristica di tutte le costruzioni greche, la stoa o passeggiata coperta con colonnato.

Per ogni persona che aveva letto una tragedia, ce n’erano decine di migliaia che conoscevano le tragedie a memoria per aver assistito o preso parte alla loro rappresentazione. E questo vale anche per la poesia lirica, composta per l’esecuzione in pubblico, spesso da parte di cori, in occasioni solenni come una festa nuziale o religiosa, oppure per celebrare un trionfo militare o una vittoria nei giochi. Similmente accadeva, seppure in misura più limitata, per la prosa. Erodono, per esempio, dava pubbliche letture della sua Storia; i filosofi insegnavano per mezzo di discorsi e discussioni. Platone esprimeva apertamente la sua diffidenza verso l’attendibilità dei libri poiché essi non potevano essere interrogati e le idee trascritte non potevano essere corrette o perfezionate ulteriormente. E soprattutto, c’era pure chi, come Fedro, sosteneva che i libri erano scritti per indebolire la memoria. Il suo maestro Socrate, coerentemente, fu un grande conversatore e non scrisse mai una riga.

Platone, nonostante tutti i suoi dubbi, fu uno scrittore prolifico. Gran parte delle sue opere hanno la forma di “dialogo”, in cui le sue idee filosofiche sono svolte attraverso discussioni, a volte complicate, di struttura drammatica, in ambienti reali con personaggi veri che discutono e ridono e si adirano proprio come accade nella vita quotidiana. I pochi prosatori del IV secolo il cui stile può essere messo su un piano analogo, sono oratori e maestri di retorica come Isocrate e Demostene, i quali scrivevano non solo veri e propri discorsi, ma anche pamphlet politici mascherati da orazioni.

E’ da ritenere che questo elevamento dell’oratoria ad alta forma letteraria, è il risultato finale della passione dei Greci per la parola, aspetto che va tenuto presente nel considerare la letteratura greca fino alla fine del periodo classico.