1.14 La Scultura

Gli ateniesi, nel ricostruire la loro città dopo l’invasione persiana, restaurarono dapprima l’agorà, tralasciando l’Acropoli. La motivazione di tale scelta risiedeva nella necessità di ristabilire la vita quotidiana su una base ordinata, o forse anche nella scarsità di mezzi. Aristotele dette un giudizio ben noto e ben motivato: ”L’Acropoli si addice all’Oligarchia e al governo di un solo uomo, la pianuta alla democrazia”. Ma in meno di una generazione le cose cambiarono. La democrazia trionfante, ricca, fiduciosa in sé stessa e imperialistica, guidata da Pericle, tornò all’Acropoli, che era un luogo venerando, e ne fece non solo il suo più grande centro religioso, ma anche il simbolo visibile della gloria e della potenza ateniese. L’uomo incaricato del programma di sviluppo era Fidia, il più famoso di tutti gli scultori greci, un Ateniese per nascita che eseguì importanti commissioni a Delfi, Tebe, Olimpia. Gli architetti del Partendone erano Ictino e Callicrate. Non si sa chi fossero gli scultori; ovviamente erano molti, ma certamente uno era il responsabile della concezione e del progetto. Poteva essere Fidia ma non ci sono prove sicure al riguardo. Le statue dentro e davanti ai templi, o nelle tombe e nei palazzi, i capitelli accuratamente intagliati delle colonne, gli stipiti e gli architravi scolpiti, tutti questi elementi avevano una storia che intorno all’Egeo risaliva indietro di secoli, in Egitto e nel medio Oriente era antica di millenni. Ma i greci introdussero qualcosa di nuovo e di per sé sufficiente per conferire ai loro templi un  carattere che non aveva confronti altrove. Essi univano la scultura alla struttura come elemento integrante, dalle eleganti modanature alle antefisse decorate, alle metope e ai fregi e ai frontoni, nei quali gli artisti ninb solo sapevano ritrarre le singole figure della mitologia, ma arrivavano a riprodurre gruppi intricati e fantasiosi. Benché gli edifici sacri avessero uno schema relativamente fisso, i bassorilievi tennero il passo con i tempi, facendo posto alle statue a tutto tondo fino all’età ellenistica, come nell’altare di Pergamo. E’ lo stesso fenomeno che si osserva nell’arte del rilievo, nella coniazione delle monete. Pur in una ristretta libertà di schemi, l’incisione, con la sua abbondanza di soggetti e di temi, non sembra avere limiti. Le monete greche non temono confronti e ogni polis, lega o monarchia, per piccole che fossero, cercavano di trovare artisti di prim’ordine per disegnare e coniare le monete quando ce n’era bisogno.

Tutta la scultura greca, fino alla fine del V secolo e, in gran parte, anche dopo, era direttamente connessa con la religione. L’atletica era parte integrante di feste religiose. I Greci consideravano naturale celebrare gli dei con atti di prodezza oltre che con poemi, sacrifici e preghiere. Le statue dei vincitori, come le odi corali, erano un ringraziamento offerto dalla comunità, o dal tiranno, che rappresentavano. Le statue non riproducevano realmente gli atleti come individui, non erano ritratti ma tipi ideali, ed era significativo che lo stesso tipo fosse usato senza discriminazione per gli uomini e per gli dei. Il nudo è una forma d’arte inventata dai Greci, così come la lirica fu inventata in Italia nel XVII secolo. Nei costumi aristocratici dell’età arcaica si diffuse l’uso di gareggiare nudi nei giochi, uso indicato da Tucidide come una caratteristica che distingueva i Greci dai barbari. Gli dei maschili, come Apollo, Zeus, Poseidone e tutti gli altri, erano sempre raffigurato nudi. Delle dee, solo Afrodite era raffigurata nuda. E’ anche innegabile che in queste sculture, anche in quelle arcaiche, fosse presente l’elemnto erotico, mescolato a quello religioso.

L’afflato ieratico quasi sempre presente nelle sculture arcaiche, non è più presente nelle sculture classiche. E ciò era dovuto sia alla maggiore padronanza della lavorazione del materiale, pietra o bronzo, e a una conoscenza più precisa e dettagliata del corpo umano. Inoltre, essi cercavano di trovare e di esprimere l’ideale, e credevano che la via giusta fosse quella delle proporzioni matematiche. Di qui il famoso paradosso attribuito da Plinio il Vecchio a Lisippo di Sicione, scultore favorito di Alessandro e massimo maestro con Prassitele del nuovo stile naturalistico che si sviluppò nel IV secolo. Egli sosteneva che spesso gli artisti raffiguravano gli uomini come sono realmente, mentre lui li raffigurava come essi appaiono. Gran parte della storia della scultura greca può essere scritta in termini matematici, esprimendo le proporzioni fra i vari elementi della figura umana e i rapporti tra essi, concepiti come altrettanti piani invece che come solidi. Fino al tardo IV secolo, le statue erano progettate per essere viste frontalmente, con profili regolari ai quattro punti cardinali, di fronte, ai fianchi e alle spalle. A parte le sculture integrate nella architettura, le grandi statue clasiche ci sono note attraverso le numerose copie romane. I Romani erano cultori della statuaria greca, e molti imperatori facevano ritrarre sé stessi e i loro favoriti come eroi greci, e a partire dal I secolo sapevano eseguire copie eccellenti con il metodo detto “a punti”.

Fidia era soprattutto lodato per le sue statue “criselefantine” di Atena (nella cella del Partenone) e di Zeus a Olimpia. L’aggettivo significa “coperte di oro e avorio” usati in grande quantità, e le statue erano veramente di dimensioni colossali. Tale era un’altra statua di Atena, un colosso di bronzo che richiese nove anni di lavoro e che torreggiava in mezzo tra il  Partenone e l’Eretteo, secondo una raffigurazione su monete ateniesi del periodo romano. Quanto più la figura di un dio era idealizzata, tanto meno la si poteva distinguere dall’uomo. L’unica alternativa che poteva fornirle un’impronta di divinità era di aumentare il formato molto al di sopra della statura umana.