2.3.2 Cicerone

Nato ad Arpino nel 106 a.C. da una famiglia agiata ma non aristocratica, compie il suo corso di studi a Roma, acquisendo educazione giuridica, retorica e filosofica, con l’obiettivo di dedicarsi alla vita politica. E così viene in contatto con la filosofia greca. Infatti, in seguito alla guerra mitridatica, nell’88 a.C., alcuni filosofi si erano rifugiati a Roma, suscitando nei giovani curiosità ed interesse per la filosofia. In questo periodo Cicerone ha l’opportunità di ascoltare gli insegnamenti di Fedro, filosofo epicureo su cui egli esprimerà un giudizio positivo. Inoltre, ospitò nella sua casa, secondo un costume diffuso tra i Romani colti, lo stoico Diodoto, da cui apprese la dialettica, e di frequentare Filone di Larissa al cui insegnamento resterà legato per tutto il resto della vita. Incontra anche lo stoico Posidonio che si trova a Roma per una ambasceria e che egli avrà l’occasione di riascoltare a Rodi durante il suo viaggio di studi. Dal 79 al 77 a.C. si reca ad Atene per frequentare le lezioni dell’epicureo Zenone di Sidone e di Antioco di Ascalona, ed anche in Asia Minore e a Rodi, per seguire le lezioni di Apollonio Molone, di cui si professerà allievo, acquisendo una buona formazione retorica e filosofica.

         Cicerone ha letto e studiato i Dialoghi di Platone (427-347 a.C.) e conosce le opere pubblicate di Aristotele (384-322 a.C.), avendo pure letto molte opere dei filosofi precedenti. Aristotele è un modello per Cicerone soprattutto per la metodologia dialettica e per l’arte retorica che egli fa risalire all’Accademia oltre che al Peritato. Cicerone aspira ad apprendere le tecniche di esposizione degli argomenti, indispensabili per la vita politica, frequentando le lezioni di Filone di Larissa. Poiché la conoscenza certa è estremamente difficile da raggiungere o non è attingibile, Filone riteneva che ci si dovesse attenere a ciò che è probabile, o persuasivo. Si può quindi accogliere provvisoriamente qualunque punto di vista, ma la provvisorietà delle opinioni richiede che esse siano sottoposte a critica, argomentando pro e contro. Cicerone considera questa tecnica argomentativi il fondamento della retorica ma anche dell’argomentazione filosofica. Platone, poi, rappresenta per Cicerone l’autorità somma, come si ricava da numerose affermazioni nelle sue opere. Nel De Oratore ricorda di aver letto con molta cura il Gorgia quando era ad Atene, ed inoltre ha pure tradotto il Protagora e il Timeo. Dalle sue opere emerge chiaramente che il suo principale interesse è quello di integrare la filosofia con la politica e la retorica.

         Imitando la forma dialogica delle opere di Platone, Cicerone scrive il De re pubblica e il De legibus, i cui titoli riprendono quelli di due dialoghi platonici ma che nei loro contenuti sono le opere politiche di Cicerone più significativamente romane.

         Nel De re pubblica egli si propone di fondere la tradizione e la cultura romana con la filosofia greca, allo scopo di dimostrare che la costituzione romana, così come è stata elaborata dai maiores, è di gran lunga la migliore. Nonostante il suo interesse per la filosofia, Cicerone dedica solo gli ultimi anni, dal 46 al 44 a.C., alla stesura delle opere filosofiche, proprio quando è costretto ad abbandonare l’impegno politico sotto la dittatura di Cesare. Il suo vanto è di mettere a disposizione dei Romani opere filosofiche scritte in latino e non in greco.

         Tra i dialoghi filosofici vanno annoverati il Cato Maior e il Laelius che trattano temi etici della vecchiaia e dell’amicizia. Egli rivendica l’appartenenza alla filosofia anche delle sue tre opere retoriche più importanti: il De oratore, il Brutus e l’Orator.

            Cicerone è ben consapevole dell’importanza della scelta delle parole quando bisogna tradurre in un’altra lingua un concetto filosofico. La lingua latina, pur essendo molto ricca, non sempre dispone di termini tecnici in grado di rendere il significato di quelli greci. Allora egli colma questa carenza coniando parole nuove che siano comprensibili per coloro che parlano latino. Nel proporre ai Romani la filosofia greca, egli ricorre all’uso di un termine equivalente e meno tecnico di quello greco, o ad una perifrasi per rendere il significato di una singola parola greca. Molti termini coniati da Cicerone in latino, qualitas, probabilitas, perceptio, evidentia, indifferens, moralis, si sono affermati nel linguaggio filosofico segnandone la storia.