3.5 Taranto

Quando, verso la fine del V secolo, la potenza crotoniate cominciò a declinare, il primato sulle altre città della Magna Grecia passò a Taranto, fondata poco tempo dopo Crotone, e come questa, da Greci del Peloponneso. Ma mentre i coloni di Crotone giunsero dall’Acaia, quelli di Taranto provenivano dalla Laconia. Fra le varie versioni antiche che ci sono pervenute sulla colonizzazione di Taranto, le più importanti sono quelle di Antioco e quella di Eforo riportate da Strabone.

Secondo la versione di Antioco, dopo la guerra messenica, quegli Spartani che non avevano partecipato alla spedizione, furono ridotti in schiavitù e presero il nome di Iloti, mentre tutti i nati a Sparta durante la spedizione furono chiamati Parteni e privati di tutti i diritti.  Questi Parteni, che erano numerosi, non si rassegnarono alla loro sorte, e ordirono una congiura. Ma questa fallì perché gli Spartani ebbero sentore di quanto si stava preparando, riuscendo a insinuare delle spie tra i congiurati. La sommossa doveva scoppiare il giorno delle feste giacinzie, nell’Amyclaeon, durante le gare: Falanto, il capo dei Parteni, avrebbe dato il segnale coprendosi il capo con il berretto; di ciò le spie informarono gli Spartani. Venuto il giorno stabilito, l’araldo proibì a Falanto di infilarsi il berretto. Vedendo che la congiura era stata scoperta, una parte dei Parteni fuggì, gli altri implorarono grazia. Allora Falanto fu inviato a Delfi a consultare l’oracolo, il quale gli rispose di andare a colonizzare Satyrion e la ricca regione di Taranto, dove sarebbe divenuto il flagello degli Iapigi. Così i Parteni partirono con Falanto alla volta di quella regione, e lì furono accolti dai barbari e dai cretesi che già occupavano il paese.

Un po’ diversa è la versione di Eforo. Durante la guerra di Messenia, scoppiata a causa dell’assassinio del re spartano Teleclo a Messene, gli Spartani avevano giurato di non tornare in patria se prima non avessero distrutto Messene, o di morire, e avevano affidato la custodia della loro città, Sparta, ai giovanissimi e ai vecchi. Ma dopo dieci anni di guerra, le loro donne li avvertirono che la città rischiava di restare senza uomini, e allora essi inviarono i guerrieri più giovani e più vigorosi, che per la loro età non erano vincolati al giuramento, con l’ordine di unirsi a tutte le vergini rimaste a Sparta. Da qui il nome di Parteni che fu dato a tutti i bambini nati da queste unioni. Quando, dopo diciannove anni, Messene cadde, gli Spartani che tornarono in patria si rifiutarono di riconoscere ai Parteni gli stessi diritti di cui godevano gli altri cittadini, a causa della loro nascita illegittima. Allora i Parteni, accordatisi con gli Iloti, ordirono una cospirazione contro gli Spartani. Il segnale della sommossa sarebbe stato dato con il lancio di un berretto lacone in mezzo all’agorà. Ma per il tradimento di alcuni Iloti, gli Spartani sventarono la congiura, ingiungendo a colui che avrebbe dovuto dare il segnale, di lasciare l’agorà; poi convinsero i Parteni ad andare a fondare una colonia, promettendo che se non avessero trovato terre sufficienti in paesi lontani, avrebbero assegnato loro un quinto della Messenia. I Parteni partirono, e trovarono gli Achei che stavano combattendo con i barbari. Dopo aver lottato al loro fianco, fondarono Taranto. 

Nonostante qualche piccola divergenza, queste due versioni della fondazione di Taranto, si integrano a vicenda su molti punti. Aristotele conosceva una tradizione analoga a quella tramandata da Eforo, giacchè nella Politica allude ai Parteni e dice che era figli di cittadini. Dal canto suo, Polibio dice che i fondatori di Taranto erano figli illegittimi.

Oltre ai passi di Antioco e di Eforo, i testi più importanti sulla fondazione di Taranto sono un frammento di Teopompo e un frammento di Diodoro, che esamineremo congiuntamente. Teopompo racconta che gli Spartani, per compensare le gravi perdite subite nel corso della guerra contro Messene, ammisero nelle loro file degli Iloti, cui poi concessero il diritto di cittadinanza. Questi Iloti, non solo presero il posto degli Spartani che erano caduti in battaglia, ma ne sposarono anche le vedove, e per questo furono chiamati Epeunacti.  Il frammento di Diodoro precisa il rapporto tra costoro e Falanto e i Parteni. Gli Epeunacti ordirono una congiura insieme a Falanto, il quale avrebbe dovuto dare il segnale della sommossa coprendosi il capo con il berretto; ci fu una delazione con conseguente denuncia agli Efori; e Falanto sarebbe stato mandato a morte se Agatiada, che lo amava, non si fosse opposto e avesse consigliato di limitarsi a proibire a Falanto di infilarsi il berretto; così i Parteni rinunziarono ai loro disegni e se ne andarono. Gli Epeunacti inviarono allora alcuni legati a Delfi per sapere se potevano colonizzare la regione di Sicione, ma l’oracolo ordinò loro di rinunziare al progetto e di andare a colonizzare Taranto, nei pressi di Satyrion. Altri storici hanno sostenuto che i Parteni vanno identificati con gli Achei fuggiti dalla Laconia, dinnanzi all’invasione dorica. Comunque, tutti gli autori antichi sono concordi nel dichiarare Taranto di origini lacone: lo affermano soprattutto quando parlano dell’aiuto che i Tarantini chiesero a Sparta nel 346 per difendersi dai Lucani. E che Taranto fosse di origine lacone è confermato dal fatto che a Taranto e a Eraclea, colonia di Taranto, si parlava il dialetto dorico. Certamente, per questa origine lacone, nella poesia Taranto è spesso chiamata con l’epiteto di Ebalia, dal nome di Ebalo, leggendario re della Laconia. Tutte le indicazioni riportate dagli storici inducono a porre l’anno della fondazione di Taranto poco prima della fine del secolo VIII a.C. Eusebio la pone nel 706-705 a.C., cioè due anni dopo la fondazione di Crotone e nello stesso anno di quella di Corcira (la tradizione comune voleva che Crotone e Corcira fossero state fondate contemporaneamente a Siracusa).

 La leggenda narra che Falanto fosse naufragato nel golfo di Crisa, mentre si recava a consultare l’oracolo di Delfi, e che fosse stato salvato da un delfino: favola che spiega il notissimo parasemon delle monete tarentine, un uomo a cavallo di un delfino. I tanti elementi “meravigliosi” esistenti nella storia della fondazione di Taranto, non ci deve far escludere che l’ecista di Taranto fosse un uomo realmente esistito. La presenza a Taranto di una famiglia di “Falantiadi” è un indizio da non trascurare. Secondo la tradizione, Falanto fu cacciato dai suoi concittadini e si rifugiò a Brindisi, e lì finì i suoi giorni.

Il sito di Taranto, il cui nome si è conservato attraverso i secoli fino ad oggi, è in complesso ben conosciuto, per quanto non sia mai stato esplorato in modo sistematico. L’area occupata dalla parte più vecchia della città odierna corrisponde a quella dell’antica acropoli, dove inizialmente si stabilirono i Greci: una splendida posizione poiché il mare e il Mar Piccolo la proteggono da tre parti. La città antica, al pari di quella moderna, si estese di là da quella depressione dove nel secolo scorso è stato costruito un canale per permettere l’accesso al Mar Piccolo delle grandi navi. Il meraviglioso bacino costituito dal Mar Piccolo contribuì a far prosperare la città, grazie anche alle sue peschiere, soprattutto le peschiere di conchiglie da porpora. Infine, la campagna tarentina, nonostante l’aridità dell’altopiano apulo, dovuta alla natura calcarea del terreno, si prestava alla coltivazione del grano, della vite e specialmente, come anche oggi, dell’ulivo. Celebri erano gli allevamenti di cavalli.