2.2 La letteratura a Roma

Nella praticissima Roma la Letteratura così come noi la intendiamo non ha trovato subito spazio. Si pensi che bisognerà aspettare la compilazione delle celeberrime XII tavole delle leggi, tra il 451 e il 450 a.C. – ben trecento anni dopo la fondazione canonica – , per avere un primo tentativo di documentazione scritta.

In realtà i romani apprezzavano il canto, la musica e la drammatica come forma di intrattenimento, anche prima dell’inizio ufficiale. Prima del 240 a.C., anno in cui si fa coincidere la nascita della Letteratura Latina con Livio Andronico, i romani conoscevano diversi tipi di forme proto-letterarie. Dal lato giuridico e politico, per esempio, oltre alle già citate XII tavole, troviamo gli annales e i fasti. I primi erano delle redazioni di fatti compilati annualmente, i secondi una sorta di calendario in cui si dividevano i giorni per fasti (propizi) e nefasti (sfortunatissimi), in modo che i cittadini, che davano tantissimo peso alla Fortuna, potessero scegliere i giorni in cui compiere determinate attività. Era compito dei sacerdoti e dei pontefici redigere questi annuari e calendari.

Da un punto di vista prettamente poetico, i romani conoscevano già alcune forme di poesia, come gli elogia, da declamarsi in occasione del funerale di personaggi di rango, così che il loro esempio fosse fissato per sempre nello spirito delle giovani leve; troviamo i carmina convivalia, con cui si esaltavano durante i banchetti i valori della antica civiltà contadina (sulla quale si fondava la Roma arcaica) e si celebravano eventi e personaggi.

La drammaturgia di Roma arcaica forse presenta dei caratteri più peculiari. Tra le forme di drammatica arcaica troviamo i fescennini, da fascinum, ‘incantesimo’, ed erano tenzoni composti di botta e risposta, spesso a carattere licenzioso, recitate durante i matrimoni. Pensate che, poiché era facile cadere nel volgare e nell’offensivo, fu disposta una legge che regolava il grado di licenziosità dei fescennini.

Troviamo, poi, la fabula atellana, dalla città di Atella in Campania, una sorta di commedia dell’Arte osca, con dei personaggi fissi e tradizionali come Pappus, il babbeo, Maccus, l’idiota, Dossenus, il gobbo furbo. L’atellana non ha solo influenzato il teatro comico latino (Plauto su tutti), ma, addirittura, ritroviamo alcuni di questi personaggi nella Commedia dell’Arte pre-goldoniana! Quella di Arlecchino e compagni, per intenderci.

Tra le altre forme di teatro arcaico troviamo i ludi scaenici e il mimo, entrambi forme di arte che avevano un po’ di tutto, dalla danza alla musica col flauto, al canto alla recitazione. E questo ci porta direttamente al genere più romano di tutti: la satira! Parleremo ancora di questo genere, in maniera più approfondita, ma per ora ci basti sapere che era una forma di intrattenimento alquanto… saturo di elementi. Nella satira arcaica si mescolavano danza, musica, canto, mimica, recitazione e acrobazie. Non è un caso che si faccia risalire il termine a tre diverse fonti: satura lanx, un piatto stracarico di prelibatezze; lex per satura, una legge che prevedeva diversi articoli, anche non correlati tra loro; satir (dall’etrusco che significa orare, declamare) e satyroi (gli spiritelli boschivi dei greci) sono anche considerate. Come si vede, il termine stesso di satira ha un’origine… satura!