2.4 Arte e tecnica

I Romani impararono il gusto per l’arte dagli Etruschi ed in seguito nutrirono una grande ammirazione per tutte le manifestazioni artistiche provenienti dalla Grecia e dai paesi di cultura ellenistica. Furono all’inizio buoni imitatori, quindi elaborarono forme proprie e originali, come la pittura murale a fresco, il rilievo e il mosaico, che arricchirono edifici pubblici e dimore signorili.

La scultura, che subì la forte influenza del mondo greco ed etrusco-italico, raggiunse nel ritratto e nel rilievo storico narrativo le sue espressioni più caratteristiche. I tratti somatici del volto di imperatori, magistrati, soldati e gente comune furono fedelmente riprodotti, sin nei minimi dettagli, nelle sculture pubbliche e nei monumenti funerari. Il rilievo storico narrativo, il cui maggior esempio è costituito dal fregio figurato della Colonna Traiana (dopo il 106), nacque dall’esigenza di illustrare le imprese militari e gli avvenimenti pubblici e religiosi, nei quali l’uomo, e non più la divinità, era il vero protagonista dell’azione. Intorno al III sec. a.C. nacque a Roma una pittura con intenti schiettamente nazionali, ispirata – come i rilievi scultorei – alle imprese militari e alle vittorie dei romani. Con la progressiva espansione, giunsero a Roma artisti e maestranze dai principali centri d’arte del mondo greco; nuovi motivi e fonti d’ispirazione entrarono allora a far parte del repertorio figurativo romano. Al tempo di Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) vennero di moda paesaggi e finte architetture, che creavano l’illusione di una dilatazione dello spazio.

Dove però i Romani eccelsero veramente fu in quell’arte che ha più stretta attinenza con le esigenze pratiche della vita: l’architettura. Nelle loro costruzioni essi seppero fondere in un tutto robusto e armonioso gli elementi decorativi dell’arte greca (colonne, capitelli, frontone e motivi ornamentali) con gli elementi strutturali di tradizione etrusco-latina, come la volta a tutto sesto e le volte a crociera. Grande attenzione riservarono, per motivi strategici, economici e di prestigio, all’ingegneria civile. Infatti, primeggiarono nella costruzione di edifici pubblici, di acquedotti sopraelevati e di strade consolari, che procedevano dritte, nonostante le asperità del terreno, grazie ai ponti e ai viadotti. Le soluzioni stradali adottate furono sempre geniali e le imponenti opere rimasero efficienti per secoli grazie ad una capillare manutenzione.

Quando, ad esempio, nel III sec. d.C. le strade vennero lasciate a se stesse, l’Europa rimase senza rete viaria fino all’età moderna.

Nell’edilizia usarono sempre materiali locali. A Roma predominarono il tufo litoide dal caldo colore ocra brunito – molto docile alle asce e agli scalpelli dei tagliapietre, ma solido e resistente -, il travertino e il mattone cotto, o laterizio, che si impose in seguito su tutti gli altri materiali. Il più originale e significativo apporto dei romani alla tecnica delle costruzioni è però il calcestruzzo, materiale economico e resistente, adatto anche nella costruzione delle volte e delle cupole.

Data la grande quantità di manodopera servile, i romani diedero poca importanza alla ricerca di innovazioni tecnologiche e non dimostrarono particolare inventiva in campo tecnologico. Seppero però raccogliere il grande patrimonio tecnico e scientifico dei popoli coi quali vennero a contatto – specie quelli di cultura ellenistica – e diffonderlo in tutti i territori dell’impero. Fu merito questo anche dei molti eruditi di cultura enciclopedica che si occuparono delle più svariate discipline teoretiche: dalla filologia all’agricoltura, dalla geografia alla storia naturale.