2.3.3 Seneca

Lucio Anneo Seneca nasce a Còrdoba tra il 4 e l’1 a.C. e muore a Roma per ordine di Nerone nell’anno 65 d.C. Di famiglia agiata, viene condotto a Roma dal padre, Lucio Anneo Seneca detto il Retore, intorno al 5 d.C. Dopo aver seguito studi di grammatica e retorica, ha per maestri i filosofi Papirio Fabiano e Sozione della scuola dei Sestii, e lo storico Attalo. I discepoli di Quinto Sestio, fondatore dell’unica scuola filosofica romana, trasmettonoal giovane Seneca un insegnamento incentrato su esercizi spirituali e ispirato a un severo rigore morale. In comune con la Stoà, la scuola di Sestio presenta uno spiccato interesse per la filosofia della natura, differenziandosi da quella per la concezione non materialistica dell’anima, per l’astensione dal mangiar carne e la pratica dell’esame di coscienza serale: tutti elementi che l’accostano al pitagorismo. L’adesione di Seneca alla setta stoica si deve all’entusiasmo con cui accoglie la lezione di Attalo, prediligendo la dimensione pratica dell’etica e accentuando le tendenze ascetiche.

         Seneca entra in senato poco meno che quarantenne. La carriera politica di Seneca è tardiva ma rapida e tumultuosa. Vicino alla famiglia regnante sotto Caligola, nel 41 d.C. viene esiliato in Corsica all’avvento di Claudio, da dove verrà richiamato otto anni dopo con l’incarico di curare l’educazione del figliastro dello stesso Claudio, Lucio Domizio Enobarbo Nerone. Quando nel 54 d.C. Nerone assume il potere imperiale, Seneca si trova nella condizione di realizzare il sogno che fu di Platone: influire da filosofo sul detentore del potere politico. Ma i successi iniziali, da attribuirsi più alla giovane età di Nerone e all’appoggio del potente prefetto del pretorio Burro, che non all’efficacia del programma educativo, furono ben presto frustrati dalla smania dell’allievo di affermare la propria esuberante personalità. Con la morte di Burro, Seneca comprende di aver perduto ogni ascendente sul suo allievo e chiede di ritirarsi a vita privata, immergendosi completamente nella redazione dei suoi scritti. Nel 64 d.C. anno del grande incendio di Roma, una sua nuova richiesta di dimissioni si risolve in un nulla di fatto. Perso il diritto di allontanarsi da Roma, vive appartato in una villa nei dintorni delkl’Urbe. I suoi ultimi anni sono trascorsi nello studio e nella meditazione e quando nel 65 è travolto dal fallimento dell’ennesima congiura neroniana, Seneca è pronto al suicidio, come estremo gesto di resistenza di uno stoico. Gli ultimi istanti della vita di Seneca sono stati resi immortali da una celebre pagina degli Annali di Tacito. Il filosofo è ritratto mentre esangue offre libagioni a Giove liberatore (Iuppiter Liberator).

         Seneca è il primo filosofo stoico di cui possediamo gli scritti. Della sua vasta produzione filosofica ci sono pervenuti due trattati, De clementia e De beneficiis, i cosiddetti Dialoghi, e le 124 lettere a Lucilio, oltre ai sette libri delle Naturales quaestiones, a nove tragedie e a un’operetta di satira politica.

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 108, 12-16:

Non c’è niente di più facile che indirizzare giovani spiriti all’amore dell’onesta e della giustizia. Docili e non ancora guasti, essi sono conquistati dalla verità, se essa ha trovato un degno avvocato. Io, almeno, quando ascoltavo Attalo inveire contro i vizi, i disordini, i mali della vita, ho avuto spesso un senso di commiserazione per il genere umano e ho giudicato quel maestro un essere sublime, superiore a ciò che c’è di più grande sulla terra. […] Quando si metteva a fare l’elogio della povertà, a mostrare come tutto ciò che accende i nostri bisogni è un peso inutile e faticoso a portarsi, spesso io avrei voluto uscire povero dalla scuola. Quando cominciava a sferzare i piaceri, a lodare la continenza, la sobrietà nei cibi, la purezza di un’anima che si astiene non solo dai piaceri illeciti, ma anche da quelli superflui, ero pronto a proibirmi ogni peccato di gola e di sensualità. Di queste lezioni, o Lucilio, mi è rimasto qualcosa. Mi ero accinto con grande ardore a realizzare tutto il suo programma; poi tornato alla vita di ogni giorno, ho serbato pochi dei miei buoni propositi iniziali. Di qui la mia rinunzia per tutta la vita alle ostriche e ai funghi. Non sono cibi, ma servono a stuzzicare la gola, anche quando si è sazi. […] Di qui il mio rifiuto per tutta la vita di usare profumi, poiché il migliore odore per un corpo umano è di non averne alcuno. Non bevo più vino né faccio bagni caldi: cuocere il corpo e spossarlo con sudori mi è sembrato un’inutile mollezza.

 

Tacito, Annali, XV 63-64

[…] Seneca, poiché il suo corpo di vecchio, indebolito dal poco sostentamento, non consentiva il rapido defluire del sangue, si fa aprire anche le vene delle gambe e delle ginocchia; prostrato dalle atroci sofferenze, per non togliere coraggio alla moglie con il proprio patire e per non perdersi d’animo egli stesso al vedere le sofferenze di lei, la persuase a ritirarsi in un’altra stanza. E non venendogli meno l’eloquenza neppure in quell’estremo momento, chiamò a sé gli schiavi e dettò loro pensieri che io mi astengo dal rivestire con altra forma, perché si sono divulgati con le sue stesse parole.  […] Intanto, poiché l’attesa si prolungava e la morte era lenta a venire, pregò Stazio Anneo, della cui lunga amicizia e della cui arte medica aveva fatto esperimento, di versargli il veleno preparato da tempo, quello stesso con cui si estinguevano in Atene i condannati per sentenze popolari. Gli fu recato, ma lo bevve inutilmente; perché aveva gli arti già freddi e precluso il corpo all’azione del veleno. Da ultimo, si fece mettere in una vasca di acqua calda, e spruzzandone i servi più vicini, disse ancora che egli offriva quella libagione a Giove liberatore. Messo infine in un bagno a vapore, fu soffocato dal caldo, e venne cremato senza alcuna cerimonia funebre. Così aveva disposto per testamento quando, ancora ricchissimo e al colmo della potenza, già pensava alla sua fine.