2.3.1 Lucrezio

Sulla vita di Lucrezio abbiamo pochissime notizie e nessun indizio d’ausilio si può trovare negli oltre 7000 versi del De rerum natura. Una testimonianza di san Gerolamo (IV sec.), da assumere con cautela, ci dice che nel 94 a.C. nasce il poeta Tito Lucrezio, divenuto pazzo per un filtro d’amore e suicidatosi all’età di 44 anni. Nella Vita virgiliana del grammatico Donato, anch’esso del IV secolo, la nascita di Lucrezio viene collocata intorno al 99/98 a.C.

Quando Lucrezio inizia a comporre la sua grande opera filosofica in versi, il De Rerum Natura, si rivolge a un pubblico che dalla poesia si aspetta non solo il racconto di gesta epiche, ma addirittura risposte sul mondo e sul significato dell’esistenza.

Lucrezio filosofo, oltre che poeta, legge e studia le opere di Epicuro, un’altra sezione importante del grande archivio della cultura dei Greci, e contro le stesse opinioni del maestro che non ha stima della poesia, si volge alla poesia didascalica. E così, si fa banditore in versi di temi come il disinteresse degli dei verso il mondo degli uomini, i mali provocati dalla religio, la fisica degli atomi che può condurre l’uomo alla liberazione dall’angoscia della morte.

         Le origini della poesia didascalica si possono far risalire al poeta greco Esiodo, autore del poema Le opere e i giorni. A differenza dell’epica, di carattere narrativo, la poesia didascalica intende comunicare un insegnamento mediando tra sapienza e immaginazione creatrice, tra utilità e piacere. L’autore si rivolge perciò ad un interlocutore, che può essere reale o fittizio, e che viene evocato all’interno del testo e pure interpellato. Nel De rerum natura, l’interlocutore del poeta è Memmio, forse lo stesso personaggio al cui seguito il poeta Catullo si era recato in Bitinia, e che appare come il protettore culturale di Lucrezio,  almeno fino a quando, intorno al 52 a.C., non fu spinto all’esilio da un processo per corruzione.

         Al di là del destinatario Memmio, è all’umanità tutta che Lucrezio vuole trasmettere il suo messaggio, attraverso una poesia percorsa da un’ansia di verità. Il contenuto dell’insegnamento che il poeta vuole diffondere è la dottrina del filosofo ateniese Epicuro (341-270 a.C.), di cui Lucrezio si proclama seguace, secondo la quale al centro della vita umana si deve porre la ricerca della felicità attraverso la liberazione dalla paura della morte e alla luce della conoscenza della natura.

         Il poema si apre con l’ Inno a Venere, forza cosmica della generazione degli esseri umani e figura del piacere (voluptas) epicureo, Venere che infonde il desiderio della vita e spinge ogni specie a propagarsi nell’esistenza, contro la guerra e la morte simboleggiati da Marte. Segue poi la trattazione sughi atomi, considerati i primordia rerum, cioè gli elementi primi costitutivi della materia. Per perseguire l’obiettivo di illuminare complesse verità scientifiche, Lucrezio ricorre anche alla forza del mito, del linguaggio immaginifico che si avvale di similitudini e metafore che rendono concreto ciò che altrimenti risulta invisibile. Il contenuto del I e II libro del De rerum natura ci dice che nulla nasce dal nulla né dall’opera degli dei, e nulla va incontro a completa distruzione, dal momento che gli atomi sono immortali e danno origine a infinite forme di esistenza attraverso la loro aggregazione. Nel III e IV libro vi è la trattazione delle componenti biologiche e psicologiche dell’organismo umano, e quindi la dimostrazione dell’inconsistenza del timore della morte, dal momento che quest’ultima opera la separazione tra il corpo e il principio vitale che lo anima, e di noi nulla resterà dopo questo discidium. Inoltre, confondere l’attrazione sessuale con l’amore, significa condannarsi alla prigione che lega la soddisfazione del proprio istinto a una determinata persona.

         Gli ultimi due libri del poema trattano della nascita del mondo, considerato come un organismo al pari degli altri corpi viventi, sottoposto ad un processo di crescita, decadenza e morte, in cui non c’è posto per le divinità che sono pensate completamente distanti dalla realtà umana e dimoranti negli “inframondi” (intermundia) dove godono perfettissima quiete. Il racconto di Lucrezio si sofferma sul percorso irto di difficoltà e di disagi, che l’uomo ha dovuto compiere dalla natura alla cultura. Il poema si chiude con la descrizione dei fenomeni naturali più spaventosi (tuoni, fulmini, terremoti, eruzioni vulcaniche), e con quella di alcune malattie letali, come il ricordo della peste di Atene nel 430 a.C.