1.12 Le arti figurative

Nella Grecia antica, nonostante le molte varietà locali, c’era una notevole uniformità di gusto e di esigenze, mutevoli più nel tempo che nello spazio. Ciò è attestato in vari modi, nella rapida diffusione del tempio dorico in tutta la penisola e nella Grecia occidentale; nella facilità con cui gli architetti e gli scultori più eminenti si spostavano;  oppure, nella sfera privata, nella posizione dominante che la pregiata ceramica dipinta ateniese conservò in tutto il mondo greco per due secoli e più. Va detto che un greco classico, ovunque andasse, si trovava in un ambiente relativamente familiare. La Grecia classica era un mondo quasi privo di palazzi e di fortezze private. In anni recenti hanno scoperto nell’isola di Delo lussuose case a due piani, riccamente decorate, costruite per i mercanti italioti che vi venivano nel II secolo a.C., dopo che Roma ebbe conquistato il Mediterraneo orientale e trasformato l’isola in un centro del commercio marittimo. L’isola di Delo era stata per lungo tempo un grande santuario panellenico, pieno di statue e di templi, ma aveva dovuto aspettare l’arrivo dei Romani per veder sorgere abitazioni private così splendide. L’architettura greca, insieme alla pittura e alla scultura, erano considerate arti pubbliche. Fra gli edifici pubblici, il tempio e il teatro, che erano connessi con il culto, eclissavano tutti gli altri. I Greci prodigavano molte cure anche agli edifici non dedicati al culto, come del resto facevano per oggetti piccoli come le monete, ma la loro scala di valori innalzava il tempio sopra gli altri edifici, come innalzava le grandi statue di Atena o di Zeus al di sopra di tutte le altre sculture. Dunque, lo Stato era quasi l’unico patrono delle arti monumentali. E data la natura della polis classica, i committenti non erano singoli governanti (tranne che in occidente dove i emersero tiranni), né commissioni professionali di belle arti, ma era la comunità operante attraverso i consueti strumenti della democrazia: le assemblee, i consigli, i magistrati. L’arte era diffusa e presente nella vita quotidiana, non riservata allo svago o al diletto di ricchi collezionisti o esteti. L’arte si trovava nei templi, nei teatri, nei portici e nei cimiteri, non nei musei. Anche in casa c’erano belle monete e belle anfore e coppe, vasi per cosmetici, specchi e gioielli, bambole in terracotta per i bambini. Chi non poteva permettersi le pregiate ceramiche dipinte a mano, si contentavano di oggetti comuni e a buon mercato.  Il numero e le dimensioni dei templi ovviamente dipendevano dalle possibilità economiche dell’intera comunità.  L’eccellente livello artistico raggiunto, in generale, non dipendeva soltanto dalla grande abilità degli artigiani, sebbene questo fosse un aspetto indispensabile della produzione; esso fu raggiunto senza una teoria estetica elaborata, la quale si affermò solo più tardi, e fu opera di filosofi più che di artisti. Molto prima di Platone, forse prima ancora di Pitagora, di diffuse nell’arte l’idea che il numero fosse la chiave dell’armonia. Così il tempio dorico è fatto di proporzioni accuratamente studiate, spesso semplici, come ad esempio quella tra l’altezza delle colonne e gli spazi tra i loro assi. Regole di proporzioni vi erano anche nella scultura, tra le parti del corpo umano. Anche la ceramica aveva vari moduli per suo conto. Da questi concetti generali e dalle regole che da essi scaturivano, emergevano tipi ben definiti di templi, di figure maschili o di anfore.

Fra i Greci, era massimamente il filosofo che qualche volta si riservava la parte dello stravagante o del ribelle, non l’artista. Egli esprimeva i valori accettati dalla società in cui viveva: non se ne allontanava né combatteva contro di essi.

Se si guardano le grandi sculture arcaiche che riproducono nudi maschili, noti come kouroi,  i più antichi tradiscono l’ispirazione dell’arte egizia, ma in meno di un secolo gli scultori greci li avevano perfezionati fino a un punto che in duemila anni gli Egiziani non avevano mai raggiunto. Gli scultori greci, i vasai e i pittori presero presto l’abitudine di “firmare” le loro opere e fu un passo rivoluzionario nella storia dell’arte.  Erano artisti individuali ma non individualisti. Accettavano la struttura e i canoni per eplorare a fondo e liberamente le loro possibilità, mettendo alla prova in ogni dettaglio la loro abilità, la loro immaginazione e la loro inventiva. Si può dimostrare che nel Partenone nessuna delle linee principali è assolutamente retta, mentre le spaziature non sono affatto uguali. Così Ictino creò il più grande di tutti i templi dorici. Le deviazioni originali e radicali erano rarissime. Un esempio eminente è l’Eretteo, con le cariatidi vestite con il peplo, a somiglianza e a ricordo delle donne della città di Caria fatte prigioniere e trascinate schiave ad Atene, che per punizione ulteriore, come racconta Vitruvio nel De Architectura, erano costrette ad indossare quotidianamente il peplo, simbolo di nobiltà, pur nel loro stato di schiavitù.